di Alessandro Bruno, 5 CCM
La visione del film: “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer mi ha lasciato un grande senso di angoscia. Il film si distingue tra gli altri del suo genere per la capacità di rappresentare l’orrore dell’Olocausto, senza mostrarlo direttamente. La maniera in cui è strutturato il film infatti permette di percepire le atrocità di quel periodo attraverso la narrazione della vita dei protagonisti, al di là del muro, nella completa indifferenza.
Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è sicuramente la serenità mentale con la quale la famiglia del comandante nazista vive accanto a un campo di sterminio. La cura della casa, i figli che giocano in giardino, un clima di totale tranquillità; tutto si svolge a pochi metri da un luogo di morte e sofferenze indicibili. Questo contrasto è ciò che rende il film disturbante: la negazione totale della realtà da parte dei protagonisti diventa l’emblema della complicità silenziosa che permette di alimentare l’esistenza stessa del male. Riflettendo su questo tema mi sono reso conto di quanto l’indifferenza non sia un fenomeno relegato al passato, ma una dinamica ancora attuale. Guerre, genocidi, attentati e ingiustizie avvengono ogni giorno nel mondo, eppure molto spesso chi non è coinvolto direttamente preferisce voltarsi dall’altra parte.

Pensiamo ai conflitti in Medio Oriente, alle crisi migratorie, alla povertà estrema in molte parti del mondo: le immagini scorrono sugli schermi televisivi e sui social media, suscitando in ogni spettatore un’emozione momentanea, ma successivamente la nostra vita procede immutata, come se quegli elementi appartenessero ad un’altra dimensione. Questo atteggiamento di non coinvolgimento e passività è lo stesso che il film in questione denuncia, mostrandoci come l’accettazione tacita del male sia quasi sempre più pericolosa della violenza stessa.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, mi è capitato di osservare dinamiche simili, seppure su scala minore. Ricordo episodi di bullismo ed emarginazione, situazioni in cui molti erano consapevoli di ciò che accadeva, ma pochi hanno avuto il coraggio di intervenire. L’indifferenza in questi casi risulta essere proprio una forma implicita di sostegno all’ingiustizia.
Tuttavia, la storia ci insegna che esistono persone che si oppongono a questa passività. In un periodo in cui molti accettavano la segregazione razziale negli Stati Uniti come una realtà immutabile, Martin Luther King Jr. vi si oppose con determinazione guidando il movimento per i diritti civili attraverso proteste pacifiche e discorsi ispiratori, come il celebre “I have a dream”.
Alcuni, a differenza di molti, scelgono di non restare spettatori, ma di agire, mettendo a rischio la propria vita per contrastare un sistema disumano.
“La zona d’interesse” ci pone davanti a una domanda scomoda: di fronte alle ingiustizie del mondo, scegliamo di ignorarle o di agire? Il film non offre risposte, ma ci costringe ad interrogarci sul nostro ruolo nella società. Sta a noi decidere se essere complici silenziosi o esseri umani capaci di opporsi all’indifferenza.